La Basilica di San Lanfranco di Pavia

La chiesa e il suo monastero sorsero sulla sponda sinistra del Ticino, in un luogo isolato tra i boschi della valle detta allora Vernasca (ampio avvallamento che, fuori da Porta Marica, a ovest della città, degradava verso il Ticino, delimitato a levante dal corso del Navigliaccio e verso nord da un’alta costa terrazzata che piegava un poco oltre la nostra chiesa per proseguire parallela al fiume col nome di costa Fragonaria).

Tra la fine dell’XI e l’inizio del XII secolo, alcuni monaci dell’ordine di Vallombrosa (fondato da S. Giovanni Gualberto entro la prima metà dell’XI secolo), probabilmente per iniziativa del vicino monastero vallombrosano di S. Marco di Piacenza, giunsero in questa zona e qui fondarono una chiesa con annesso monastero, dedicandoli al Santo Sepolcro.

Questo primitivo cenobio non si trovava nel sito dell’attuale monastero, ma più ad ovest, in un luogo non meglio precisato sotto l’alta zona costiera del Ticino, nei pressi di S. Sofia.

Intorno al secondo decennio del XII secolo la comunità monastica si trasferì in Val Vernasca, iniziando la costruzione della nuova chiesa del S. Sepolcro (ricordata negli scritti di Bernardo da Pavia) nella quale venne poi sepolto il vescovo pavese Lanfranco Beccari (morto nel 1198).

Questi, durante il suo mandato quale guida del clero pavese dal 1180 al 1198, fu spesso in urto col potere civile e trovò nel monastero vallombrosano un rifugio ideale, luogo di meditazione e ricarica spirituale quando la situazione si faceva troppo tesa. La notizia dei miracoli operati in vita e dopo la morte ne diffuse la fama quale santo, sebbene non venisse mai canonizzato.

Negli anni successivi, la chiesa venne ricostruita gradatamente, fino all’ultima impresa della facciata nel 1257, forse con l’intento di trasformarla in chiesa memoriale del vescovo Lanfranco. La struttura, infatti, a navata unica e transetto sporgente, adotta l’impianto a croce latina canonico per l’ordine vallombrosano, ma presenta un carattere di monumentalità che la distingue dalle antiche chiese vallombrosane più ridotte e modeste.

L’ architettura presenta espressioni tipiche del tardo romanico maturate in ambito pavese. All’esterno notiamo l’elevarsi del tiburio (sebbene sommerso in seguito all’innalzamento dei tetti della navata) all’incrocio dei due corpi allungati della nave e del transetto.

Il campanile che risale al 1237, presenta il linguaggio più maturo dello stile lombardo: la struttura, inquadrata da lesene angolari che ne accentuano lo slancio verticale, è scandita in cinque specchiature per lato da una fila di sei archetti semplici, divisa in due da una sottile parasta centrale che sale fino alla trifora della cella campanaria. L’intonaco bianco sotto la fascia di archetti, contrastando con il rosso del cotto, dona vivacità di colore. Questa è aumentata dall’inserimento di bacini maiolici (che ritroviamo anche in facciata secondo un’accurata disposizione), testimonianza dei rapporti col vicino oriente.

La facciata, a due spioventi, dalle proporzioni slanciate, si innalza tra i due possenti contrafforti laterali. E’ ritmata nel settore centrale da due sottili paraste che, dal rilievo in arenaria che riquadra il portale (quasi proiezione in piano di un falso protiro), salgono fino al colmo della cuspide. Ad arricchire il settore superiore, oltre le aperture circolari centrali, una galleria cieca di archi su colonnine sale seguendo l’andamento degli spioventi, appena al di sotto della sequenza di archetti intrecciati e della fascia terminale a risega multipla che coinvolge anche i contrafforti. Citazioni, queste, tipiche del lessico architettonico locale, che, a partire dallo schema della facciata del transetto nord di S. Michele, inseriscono la nostra chiesa in una complessa trama di rapporti.

L’interno sviluppa il sistema detto “a sala”, caratteristico del romanico maturo, ottenuto eguagliando il piano d’imposta delle coperture del transetto (volte a botte) e della navata (volte a crociera), così da ottenere una nuova unità di spazio.

Protagonista di questo spazio unitario è la parete liscia a cui sono addossati i sostegni -semicolonne e riseghe rettangolari- coerenti col sistema di copertura. Sui capitelli cubici delle semicolonne si impostano gli archi trasversali a sesto ribassato e falcati che articolano la navata in quattro campate voltate.

Tracce di affreschi antichi si trovano sulla parete orientale del transetto sud e nel settore di parete meridionale corrispondente alla terza campata dove, probabilmente, si trovava la tomba del vescovo Lanfranco; affreschi votivi, questi ultimi, di anonimo autore del XIII sec., raffiguranti il Redentore in trono supplicato dalla Vergine e dal vescovo Lanfranco. La scena con l’assassinio di S. Tommaso Becket e ancora la figura di S.Tommaso benedicente sembrano istituire un parallelo tra la vita di Lanfranco e il vescovo assassinato da Enrico II nella cattedrale di Canterbury. Sono a lato altri affreschi: il Redentore con aureola crocifera e gemmata e la grande figura di S. Cristoforo.

La zona presbiteriale venne ricostruita per volere del marchese Pietro Pallavicini Dè Scipioni che prese in commenda il monastero dopo che l’abate Luca Zanachi venne assassinato nel 1480. Costituita da un ampio coro rettangolare cui è addossata un’abside a specchiature, è coperta da una volta a botte penetrata sui due lati lunghi da sei voltine a unghia. Al livello dell’imposta di queste si aprono due finestroni per parte. Tre aperture circolari si trovano nel catino absidale; di queste, le due con Cardinale e Martire sono quattrocentesche. Quattrocentesca è anche la vetrata che, dal settore di parete che chiude a oriente il coro tra l’arcata dell’abside e l’arco della volta, domina il presbiterio: in essa sono raffigurati la Madonna in trono coi Bambino, S. Lanfranco e il committente, di cui è lo stemma. La data 1509, conclusiva per lavori del presbiterio, si legge nella cornice del lato nord.

Intorno al 1498, nella zona absidale venne fatta erigere, sempre su commissione del marchese Pallavicini, la famosa arca marmorea, monumento celebrativo del vescovo Lanfranco, opera dello scultore e architetto Giovanni Antonio Amadeo . Poggia su eleganti colonne a candelabra con profili di uomini entro piccoli medaglioni nelle basi. Il sarcofago, sorretto da teste di putti, si svolge poi in un fastigio a cupola sormontato da edicola. I rilievi narrano miracoli ed episodi della vita del santo (dal fianco a sinistra): S. Lanfranco risana un giovane muto; Nella piazza del duomo il santo riceve i consoli; Nel ritorno dopo l’esilio il santo è accolto dai nuovi consoli (l’ultimo personaggio a destra è l’autoritratto dell’Amadeo); ll santo prega la Vergine nel suo ritiro presso i monaci di Vallombrosa. Seguono i miracoli dopo la morte: la giovane Gelasia, condannata con la falsa accusa di aver avvelenato il fratello esce salva dal rogo; Guarigione del giureconsulto pavese Pietro Negri; Giovanni Brunelli assalito dai briganti e legato nella boscaglia riesce a slegarsi con l’aiuto del santo; Alberto da Novara, malfattore pentito, è salvato dall’impiccagione.

Nella parte superiore, al di sopra delle iscrizioni, si trovano bassorilievi con scene tratte dalla vita di Gesù Cristo, precisamente: l’Annunciazione e la Visitazione, a tergo; la Natività, a destra; la Presentazione di Gesù al Tempio e Gesù che sana gli infermi, sulla fronte; la crocifissione, nel riquadro a sinistra.

Il monumento è concluso da un tempietto eretto sopra una volta ornata da quattro delfini e, di fronte e a tergo, da due targhe a testa di cavallo con incisioni araldiche: in una vi è un cappello prelatizio alla sommità e quattro papiri spiegati; nell’altra un disegno a quadretti sormontato da un’aquila ad ali spiegate. E’ da notare come lo stemma del cappello prelatizio dei Pallavicini lo si ritrovi all’attacco dell’abside, nella vetrata quattrocentesca, nell’acquasantiera ora all’interno della sacristia e nel chiostro grande (sulla volta della sala d’angolo).

Il coro ligneo intagliato porta lo stemma (abraso) e il nome Luca dell’abate Zanachi.

Nella nicchia del transetto meridionale, l’affresco con la Madonna in Trono, S. Benedetto, S. Giovanni Gualberto ed alcuni monaci è di stile tardogotico, probabilmente dovuto a scuola senese, della metà. del Quattrocento.

Dalla porta a fronte si passa nel chiostrino del quale rimane il solo lato addossato alla chiesa. Fu fatto edificare dall’abate Luca Zanachi, il cui nome e la data 1467 compaiono nelle mensole in cotto, ricavate a stampo da matrice.

Il fregio in cotto, che orna le ghiere degli archi con festoni di foglie e frutti e con putti rampanti tra le foglie, è opera giovanile dell’Amadeo e si ricollega agli esempi noti dei chiostri della Certosa di Pavia. I sottarchi sono decorati da lacunari a rosette. Tra le arcate vi sono medaglioni a tazza baccellata. Il prospetto termina in una ricca cornice a fasce sovrapposte sorretta da mensoline.

Questa esuberanza decorativa contrasta con l’essenzialità dell’ornamentazione in cotto dell’altro chiostro grande, pure attribuito all’Amadeo, ma appartenente ad un periodo più avanzato dell’attività dell’artista che qui esprime l’eleganza ariosa dell’architettura di impronta bramantesca. Costruito su commissione di Pietro Pallavicini, quindi dopo il 1480, questo secondo chiostro si articola su tre lati, retto da sottili colonne in granito poggianti su un muretto e con capitelli quattrocenteschi. In cotto sono le profilature degli archi e della fascia compresa tra gli archi e il piano finestrato. Le ampie stesure di intonaco che ne risultano evidenziate sono arricchite da affreschi di cui rimangono tracce nella fascia-parapetto del lato ovest. Figure dipinte sono inserite nei tondi tra gli archi: nel clipeo centrale del lato ovest è rappresentata la Vergine dipinta entro una mandorla; nel tondo a sinistra il Cristo con la croce alle spalle; in quello di destra vi è un santo non identificato; poi un altro santo con croce e con l’iscrizione GUA- forse san Giovanni Gualberto-; nel tondo d’angolo vi sono due figure femminili in vesti rinascimentali. Nel lato settentrionale troviamo un santo raffigurato con la graticola, mentre il vescovo nel tondo successivo potrebbe forse essere il vescovo Lanfranco.